Lettera della Presidente Lunghi
SCUOLA E STRANIERI
Questa corale manifestazione sia patrimonio di tutti.
È innegabile che i fatti di Lodi hanno avuto e continuano ad avere una risonanza mediatica oltre la dimensione locale; è innegabile che, come spesso accade, un fatto, un accadimento un “qui e ora” venga etichettato, marcato, assunto in vari modi a seconda della lettura e dell’interpretazione che i singoli cittadini ne danno e che derivano dalla loro appartenenza partitica, dalla storia personale e politica o semplicemente dalle proprie esperienze vissute quotidianamente. Se posso permettermi, penso che questo “fatto” possa invece diventare occasione, momento, opportunità per ragionare, questa volta sul serio e con conseguenze pratiche, di come costruire o meglio ritessere i legami nella comunità lodigiana. Lo dico in virtù delle parole e delle affermazioni che tutti noi abbiamo espresso, se non in qualche caso proclamato, durante la festa del volontariato che si è svolta a metà settembre, quindi poco tempo fa, nella bella piazza di Lodi. Vivere la comunità, sentirsi appartenenti ad una comunità, il valore della comunità: questa parola così presente nel dibattito politico, nelle progettazioni sociali, fulcro e centro intorno al quale si sono costruiti tanti progetti in ambito socio- sanitario, educativo, economico si lega al tema della coesione sociale che porta in sé indissolubilmente la questione della cittadinanza attiva, del dovere civile , della partecipazione democratica ai processi di governance. Ebbene si comprende che i tre tasselli sono dipendenti l’uno dall’altro non in sequenza lineare (comunità – coesione sociale – cittadinanza attiva) ma circolare essendo connessi, complementari, intrecciati. La mobilitazione di tanti cittadini sia singolarmente che in forma associata è una risposta forte, decisa e significativa rispetto al tema della comunità; io la leggo non solo in chiave di risposta ad una emergenza (la non possibilità per molte famiglie di accesso ai servizi sociali agevolati), ma come espressione consapevole e cosciente di quali valori sono ritenuti pregnanti, necessari, fondamentali per parlare ancora di comunità. Per fortuna questa risposta (la mobilitazione di cui sopra) non è un fatto isolato: l’abbiamo vista in altre occasioni, nei porti, ai valichi di frontiera, nei campi del lavoro sfruttato e degradante.
La cosiddetta società civile, con una miriade di attività ogni giorno affronta in modo ordinato, pacato e civile, nel rispetto delle leggi e delle norme, i problemi delle comunità che non sono quelli legati solo ed esclusivamente alla questione dei migranti, ma sono quelli delle persone in difficoltà, che vivono in condizioni di povertà e di emarginazione materiale, culturale e spirituale. E’ riduttivo quindi pensare che la mobilitazione a cui stiamo assistendo e a cui partecipiamo ognuno in libertà, sia messa in atto solo dai “buonisti” o dalle associazioni di volontariato (peraltro ultimamente viste con sospetto e mal digerite) ; non solo è riduttivo ma, secondo me, profondamente sbagliato: personalmente vi scorgo la rivendicazione libera e positiva di un richiamo forte ai principi di solidarietà e sussidiarietà che la Costituzione riconosce a fondamento della nostra società. Ma non voglio eludere la questione sottesa ai fatti e cioè quella relativa all’immigrazione, ma vorrei puntare l’attenzione su alcuni aspetti ben noti alla comunità lodigiana. A partire dalle prime ondate migratorie (mi riferisco ai primi anni novanta) le istituzioni, gli enti religiosi e pubblici e tutto il mondo no profit ha pensato, promosso ed avviato progetti, attività, interventi a favore di una “buona accoglienza”: case di prima e seconda accoglienza; corsi di alfabetizzazione; formazione di mediatori in ambito linguistico -culturale nelle scuole, ospedali, aziende, enti; doposcuola e attività ricreative nei quartieri, negli oratori e via discorrendo. Questo agire è stato spesso, se non sempre, accompagnato dalla riflessione sui cambiamenti in atto (anche dei flussi migratori), sulle modalità con cui si può fare integrazione e intercultura nell’obbiettivo comune di permettere a tutte le persone di vivere bene ( il ben-essere) nella comunità di residenza. Ora mi sorge spontanea la domanda: cosa è successo? Perché dopo tanti anni di fatica (le difficoltà sono all’ordine del giorno), di impegno, di buone pratiche rischiare di mettere in crisi, di minare un cammino di integrazione e scambio interculturale di cui la scuola è culla e incubatrice? Perché alimentare i pregiudizi, gli stereotipi, le intolleranze? A che pro? Inoltre…Qualcuno si chiede quali ricadute ha su tutti i bambini, quelli che continuano a pranzare in mensa e quelli che pranzano in un altro spazio, questa situazione di separazione, di “diversità” quando fino a poco prima stavano tutti insieme? Quali domande si faranno i bambini? Crediamo di saperle perché qualcuno glielo chiede e lo intervista? Io penso proprio di no: molte domande se le tengono dentro, così come i loro disorientamenti. E poi: la comunità lodigiana è piccola, ci si consce, ci si frequenta! Allora non era il caso di cercare insieme, in collaborazione con le scuole, le rappresentanze dei genitori, le organizzazioni che si occupano di questo specifico tema, una soluzione; di ragionare sul tema davvero importante dei servizi sociali e in particolare scolastici? Crediamo che sia solo un problema che riguarda le famiglie straniere? E l’abbandono scolastico? E la fatica di pagare rette molto alte quando nel Lodigiano le strutture pubbliche sono carenti? E la conciliazione famiglia e lavoro?
Mi auguro davvero che da qui si possa ripartire e che questa corale manifestazione di un “prendersi cura” della propria comunità e del proprio territorio, non venga svilita da etichettature e marchi, ma sia patrimonio di tutti coloro che vogliono contribuire, facendosi portatori di una cultura dell’incontro e del dialogo nella propria vita quotidiana, al benessere della società.
Un cordiale saluto
Luisella Lunghi – Presidente CSV Lombardia sud
Da Il Cittadino del 22 ottobre 2018