PLACEMAKER: Gli inventori dei luoghi che abiteremo
Titolo: PLACEMAKER: Gli inventori dei luoghi che abiteremo
Autore: Elena Granata
Editore: Einaudi
Edizione: 2021
Il placemaker è una figura nuova e antica allo stesso tempo, che si muove nel mondo restituendo senso e vita a luoghi che l’hanno persa. Rigenera, reinventa e riconnette spazi.
In un mondo affollato di oggetti artificiali, il placemaker reintegra natura in contesti urbani, progetta soluzioni ispirate alla natura per contrastare i cambiamenti climatici, guardando il mondo con empatia. L’autrice Elena Granata li definisce persone che trasformano idee in progetti concreti, capaci di rigenerare luoghi e comunità, applicando il design all’urbanistica, comparandoli ai “devianti positivi”, capaci di pensare fuori dalle regole, migliorare il mondo e offrire nuove prospettive. Non agisce solo sugli spazi fisici ma anche sui comportamenti umani e sulla natura, sui sentimenti e gli stili di vita. È il designer dei luoghi, l’inventore delle città che abiteremo, con la capacità di trasformare un’idea in un progetto, di pensare cose impossibili e, soprattutto, di farle accadere.
La parola olandese “schoonheid” è intraducibile in italiano, in quanto unisce bellezza, benessere e rispetto per l’ambiente. Il designer olandese Daan Roosegaarde incarna questa idea con progetti che integrano creatività, natura e qualità della vita collettiva. La rigida compartimentazione funzionale delle città moderne (scuole, ospedali, musei, parchi separati) necessita un superamento di questi schemi, con spazi e funzioni riconnessi tra loro. Il laboratorio IKEA “The Ideal City” del 2021 raccoglie esperienze urbane virtuose da 53 città di 30 paesi, con l’obiettivo non di proporre un modello unico, ma di offrire ispirazioni per città più inclusive, sostenibili e umane, nate dall’intersezione tra grandi trasformazioni e piccoli progetti locali.
Molto spesso nuovi progetti urbani nascono dando valore ai “vuoti urbani” come luoghi di socialità, benessere e rigenerazione collettiva. Come, ad esempio, la High Line di New York, una vecchia ferrovia sopraelevata salvata da due attivisti e trasformata in parco urbano da Elisabeth Diller. Il progetto non voleva aggiungere, ma proteggere la biodiversità spontanea e creare uno spazio aperto per tutti, opponendosi alla logica edilizia della città densa.
Dopo la pandemia, molte città hanno riscoperto l’importanza degli spazi aperti. La crisi ha reso evidente che salute e relazioni dipendono dalla qualità dello spazio pubblico e ha riportato attenzione su strade, piazze e spazi residuali.
Negli ultimi anni sono emerse pratiche di urbanistica tattica e progettazione dal basso, con interventi piccoli, temporanei, rapidi e partecipati per riattivare spazi pubblici, di cui il collettivo italiano Orizzontale a Roma fa da esempio capofila.
Nell’ultimo decennio si parla anche del metodo The Power of 10+, che identifica dieci elementi per rendere vivibile uno spazio urbano, e della riscoperta della città a misura di 15 minuti proposta da Anne Hidalgo a Parigi e Carlos Moreno, basata sui principi di: ecologia, prossimità, solidarietà e partecipazione. Ciò sottolinea quanto le città riflettano le norme e i problemi delle società che le costruiscono. Se non si parte dallo studio dei comportamenti e delle differenze, ogni tentativo di
trasformazione urbana rischia di fallire. Il design urbano e le politiche territoriali possono fare molto se affrontate con sguardo plurale e inclusivo, spesso promosso da figure femminili nell’amministrazione pubblica.
Anche la formazione accademica dovrebbe cambiare, il suo essere rigida e nozionistica, formerà persone incapaci di gestire la complessità del presente e del futuro, favorendo l’importanza di un’educazione che stimoli il pensiero creativo e associativo. L’autrice racconta della sfida di insegnare urbanistica senza poter incontrare gli studenti di persona, privati di strumenti fondamentali come le esplorazioni urbane e il confronto diretto. Questo perché conoscere i luoghi significa viverli, attraversarli e sentirsi responsabili di essi. La professoressa Granata conclude richiamando l’urgenza di costruire legami comunitari e cooperativi, di progettare in modo interattivo e partecipato, coinvolgendo le nuove generazioni non come semplici destinatari ma come coproduttori di contenuti e cambiamento, sottolineando le parole chiave del futuro: bello, sostenibile e fatto insieme.
a cura di Andrea Rovetta (Redazione CSV Brescia)