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L’appello da Gaza City: “Basta bombe”. Incontro online con Angelo Rusconi, operatore comasco di Medici senza Frontiere

CSV Insubria CO2025-06-03T12:14:22+02:00
Pubblicato il
28/05/2025
Di CSV Insubria CO
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«A Gaza City siamo rimasti in meno di venti stranieri. Mi sembra di vivere un film in cui, ogni tanto, apri gli occhi e scopri che è tutto vero. Per me è ogni volta una sorpresa. Non mi sembra ancora vero che prima stavo in uno dei quartieri più belli di Gaza, e ora è tutto completamente distrutto. La mia casa è stata incendiata, la città rasa al suolo. Gaza City nord è completamente distrutta è rimasto in piedi solo qualche stabile e poche case. Dove prima c’era asfalto ora ci sono solo detriti. E poi, incredibilmente, ogni giorno c’è la raccolta dei rifiuti. E’ tutto così surreale…»

Angelo Rusconi parla a ruota libera, tira fuori tutto quello che i suoi occhi hanno visto, che le sue orecchie hanno ascoltato. Angelo Rusconi è un operatore umanitario di Medici senza Frontiere ed è capo progetto a Gaza. Negli ultimi giorni la Rai ha rilanciato la sua toccante testimonianza sulla tragedia di Gaza. Angelo raccoglie ogni santo giorno un enorme carico di dolore e sofferenza, ma deve pensare solo alle cose da fare. La sera del 27 maggio, però, vuole esserci online per un incontro organizzato dall’associazione menaggina “In Viaggio” e dalla Parrocchia di Rebbio e curato da Mauro Oricchio sulla piattaforma Zoom di CSV Insubria.

Una cinquantina di persone compare sullo schermo. «“Siamo fortunati”», è il commento di Angelo, perché la connessione stasera è buona. Tanti sono, per Angelo, visi amici a cui è contento di mandare un saluto, una delle rare opportunità per ritrovare conoscenze e legami lasciati a Como. Oltre che un’occasione per lanciare un appello a non restare indifferenti a ciò che accade a Gaza, a far sentire la nostra voce perché questo orrore finisca. Angelo quasi si scusa del suo sfogo con noi che lo ascoltiamo attòniti. Noi che restiamo a lungo senza parole alla fine del suo racconto.

Un formicaio

«Un formicaio. Qui siamo come un grande formicaio che si cerca di distruggere. Cade una bomba, si alza il fumo. E poi, piano piano, le formiche escono e ricominciano a girare.  Ci rintaniamo e aspettiamo che passi l’ordine di evacuazione. Ci incontriamo la mattina e ci chiediamo a vicenda “Come è andata la notte?”. Stanotte abbastanza tranquillo vuol dire che sono cadute bombe a tre km da qui. O invece “mio cugino, mio fratello è saltato per aria”… È incredibile, lo so, ma ci si abitua a vivere in questo stato di incertezza, qui è lo stato abituale della tua vita. Abbiamo tutti paura a chiederci che cosa sperare».

Il cibo che non arriva. L’acqua da comprare

«Questa è una guerra basata sulla fame. Ci sono 9.800 camion fermi alle frontiere. Di questi, 106 sono di Medici senza frontiere, tutto è fermo sotto il sole. Son più di 10 settimane senza un camion è logico che poi vengano assaltati… è surreale, è voler portare un popolo alla morte. A sud è stato aperto un primo centro di distribuzione, ovviamente è stato assaltato, poi c’è stata una tempesta di sabbia e hanno sparato sulla folla».

«Poi c’è il problema dell’acqua che è vita, che è la prima medicina. Sono stati chiusi i condotti che portano l’acqua potabile, quindi bisogna importarla da Israele. Si pompa quella salata e poi la si desalinizza. Paghiamo l’acqua con il gasolio, ormai preziosissimo; tutto viaggia con il gasolio, perciò paghiamo così l’acqua alle società che ce la forniscono nei 28 punti di distribuzione. Ho chiamato l’unica parrocchia rimasta a Gaza (il parroco Gabriel veniva chiamato tutte le sere da papa Francesco) sto cercando di mandargli dei camion di acqua».

La forza ostinata di andare avanti

«Al momento in ospedale abbiamo 470 pazienti, la maggior parte donne incinta malnutrite e bambini. Donne e bambini… è ciò che fa più strazio, dobbiamo scegliere a chi dare il cibo terapeutico perché se lo diamo a tutti finisce subito. La tensione sale e abbiamo dovuto aumentare i controlli sulle persone, sono tutti disperati. Ma c’è la forza ostinata di andare avanti. Gli infermieri sono esausti, alcuni sono al quinto cambio di casa perché sono state tutte bombardate. Ieri durante una riunione con l’Onu abbiamo interrotto la chiamata perché da lì a 5 minuti sarebbe caduto un missile, come in un macabro videogioco in cui tutto è reale».

«La nostra casa è stata segnalata al governo israeliano, così come la clinica e i magazzini perché non vengano colpiti. Ma per ogni intervento (come per esempio sistemare l’antenna sul tetto o il parcheggio della clinica) va segnalato a Gerusalemme con tanto di nomi degli operai che stanno lavorando e con tanto di pressioni. Passare la frontiera è impossibile, c’è la cosiddetta “deadzone” un chilometro che nessuno può avvicinare altrimenti ti sparano. Anche i pescatori se si allontanano più di 500 metri vengono colpiti. Eppure, c’è questa grande forza di andare avanti, di ritrovarsi per sentirsi parte di una famiglia, anche se è scomparso il concetto del futuro, è terribile ma ci si abitua alla guerra altrimenti non si vive più. C’è grande turbamento emotivo, ma c’è il senso di comunità dello stare insieme, poi si riparte. Qui ci si saluta dicendo “speriamo di vederci domani”».

Qui tutti vogliono solo uscire dall’incubo delle bombe

«La mia assistente – che da sola ha messo in piedi la missione – ha 4 figli, ora che è morto il cognato si è presa carico anche della sua famiglia. La vedo, sempre più magra, e quando le chiedo “cosa pensi?”. “Io non me ne vado”, mi risponde. C’è un grande attaccamento alla terra. Potrebbe succedere di tutto, ma mai come adesso è stata più forte la pressione internazionale. Stiamo chiedendo l’apertura delle frontiere, dobbiamo fare sentire la nostra voce, l’opinione pubblica ha un ruolo importante».

«Io sono qua per mio figlio. Ho sempre creduto che il nostro compito è rendere il mondo migliore per i nostri figli, bisogna darci dentro perché l’egoismo ci sta fregando, l’egoismo di noi che stiamo bene. Non che non dobbiamo lamentarci… Ricordo una suora in Sudan che gestiva un centro per i bambini malati di Aids. Io le chiedevo “come stai?” e lei: “se pensi a una persona felice, pensa a me”. Ecco, io voglio ricordare queste sue parole. Perché anche per me deve essere così».

A Gaza, quando ci si saluta, si dice “io sono con te”, ci ha detto Angelo Rusconi. Per quel poco che può significare, noi tutti, Angelo, siamo con te.

#TAG: Como  CSV - Si parla di noi  Varese  

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