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Realacci: La nuova missione dell’Europa, dall’agire “ego” all’agire “eco”

CSV Milano2022-06-10T13:51:16+02:00
Pubblicato il
15/11/2019
Di CSV Milano
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Innovazione, mutazioni di rotta e cambiamenti di stili di vita: la ricetta del presidente della Fondazione Symbola. «L’Ue si occupi dell’ambiente e così peserà di più nel mondo»

di Paola Springhetti, CSV Lazio

Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola

Symbola, la “Fondazione per le qualità italiane”, ha l’obiettivo di promuovere la soft economy, cioè «un modello di sviluppo orientato alla qualità, in cui tradizioni e territori sposano innovazione, ricerca, cultura e design; che tiene insieme competitività, valorizzazione del capitale umano e rispetto dell’ambiente, produttività e coesione sociale». Per questo fa un intenso lavoro culturale, che si appoggia tra l’altro a due rapporti: GreenItaly, sulla green economy nazionale, e Cultura, sul peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale. Presidente è Ermete Realacci, una vita spesa tra impegno nell’associazionismo (Legambiente) e politica.

Come è nata l’idea della soft economy?
È un neologismo che ci siamo inventati qualche anno fa: ci sembrava che ci fosse troppo conformismo nel leggere l’economia rincorrendo le agenzie di rating e il pensiero tradizionale. Come diceva Proust, «il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi». Ci rifacevamo a Joseph Nye, che aveva distinto tra hard power e soft power: il primo basato sulla forza, anche militare, e prevalentemente concentrato negli Stati Uniti, il secondo invece legato alla capacità di influenzare e convincere e più tipico dell’Europa.

Negli ultimi anni la parola “economy” è molto aggettivata: green, blue, circolare, eccetera. C’è un filo conduttore?
Direi che la sostenibilità è un concetto fondamentale. L’insieme largo è la green economy, dentro alla quale l’economia circolare o quella blu sono varianti e accentuazioni di questo o   quell’elemento. Credo che conti più la direzione, che non la prescrizione. Seneca diceva: «Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare». Se sai dove andare, puoi arrivarci anche senza il vento in poppa. In questo caso la direzione è quella di un’economia a misura d’uomo. Secondo il sito americano Bloomberg, nell’ultimo congresso del Partito Comunista cinese, il segretario Xi Jinping, che è anche il capo di governo, ha usato per 89 volte la parola ambiente e solo per 70 volte la parola economia. Io credo che i motivi siano tre. Il primo è che il problema è serio, soprattutto in Cina, e non riguarda solo i cambiamenti climatici. Il secondo è che l’ambiente è ormai un terreno di competizione economica, sul quale chi arriva prima batte gli altri. Il terzo è che chi si occupa di ambiente pesa di più nel mondo, dal punto di vista geopolitico. E questa è una carta importantissima per l’Europa, che ha bisogno di una nuova missione: la crisi climatica può vederla protagonista.

Ma non tutti sembrano andare in questa direzione. Pensiamo a Trump, per esempio. E l’Italia come si colloca?
Trump durante la campagna elettorale ha fatto un grande battage per difendere il carbone, ma dopo la sua elezione il consumo è calato e nel mese di aprile, per la prima volta nella storia, le rinnovabili hanno fornito più energia del carbone. L’Italia è messa bene, anche se non per le scelte politiche. Dobbiamo molto all’Europa, per quanto riguarda le politiche generali, e abbiamo fatto qualche scelta anticipatrice (grazie ad un mio emendamento alla legge di Bilancio 2918, sono proibiti i cotton-fioc non biodegradabili e dal 2020 le microplastiche nei cosmetici, per esempio). Ma la vera forza dell’Italia sono i suoi cromosomi: produrre utilizzando quella grande fonte di energia che è l’intelligenza umana, valorizzando la bellezza e usando meno materie prime. A parte il riciclo urbano, che va a velocità differenti, complessivamente nel recupero dei rifiuti siamo primi in Europa, anche perché siamo poveri di materie prime, quindi dobbiamo aguzzare l’ingegno.

In uno scenario così vasto, il volontariato (anche quello delle piccole associazioni sparse sul territorio) che ruolo ha?
Negli anni Ottanta anche Legambiente aveva adottato lo slogan “pensare globalmente, agire localmente”. Vale ancora, ma oggi bisogna anche “agire globalmente e pensare localmente”, per questo è necessario avere un’idea di come si colloca l’ambiente in un’economia globale e di come possiamo partecipare ad essa. La partecipazione si colloca all’incontro tra innovazione e stili di vita. Il primo caso di carsharing in Italia fu proposto da Legambiente a Milano, all’inizio degli anni duemila, ma era macchinoso, bisognava telefonare per sapere se c’era una macchina… Il progetto andò a morire. Oggi a Milano ci sono 40mila persone che usano il carsharing. Il successo è dovuto all’incrocio tra innovazione tecnologica e cambiamento di costume: da una parte le app per gli smartphone e dall’altra il fatto che le relazioni sociali hanno ridimensionato il valore delle automobili: il vecchio detto “no car no party” non vale più e infatti a Milano cala il numero delle immatricolazioni. In questa prospettiva, l’esistenza di una società organizzata e coesa, di cui il volontariato è espressione, è fondamentale. Ovviamente, serve anche un pensiero locale. A volte assistiamo ad una parodia dell’ambientalismo, che mette sullo stesso piano cose belle e fesserie. A volte assistiamo a opposizioni a impianti di compostaggio o di biogas che sono incomprensibili.

Sta dicendo che anche il volontariato locale deve avere una visione generale?
Sì, e deve avere coscienza, che oggi queste cose non sono solo un passaggio importante dal punto di vista dei valori, ma anche un pezzo di una nuova economia. I bambini di Pechino e di Shanghai giocano su giostre italiane: le facciamo più belle, sartoriali (cioè secondo modelli flessibili), ma soprattutto consumano la metà di quelle tedesche. Nel 1309 i Senesi, dopo la battaglia di Montaperti, hanno scritto una Costituto in lingua volgare: vi si legge che chi governa deve avere a cuore «massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini». Sembra la sceneggiatura dell’affresco del Buon Governo, che è stato dipinto trent’anni dopo da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena. Peraltro esisteva anche l’affresco dedicato al Malgoverno, poi perduto: si dice che le persone effigiate fossero le stesse, ma quelle del Buon Governo sorridono, quelle del Malgoverno sono arrabbiate. L’Italia è forte quando sorride.

GRANDANGOLO

 

Ermete Realacci

Green Italy. Perché ce la possiamo fare

Chiarelettere, 2012

 

 

(articolo tratto da Vdossier numero 1 2019)

#TAG: Milano  

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