5 per mille, ma non per tutti: vent’anni di squilibri
Vent’anni di scelte hanno reso il 5 per mille un pilastro per il Terzo settore, con oltre 91mila enti e 18 milioni di contribuenti coinvolti. Crescono fiducia e risorse, ma emergono squilibri: poche grandi realtà attraggono la maggior parte dei fondi, mentre molti piccoli enti restano ai margini.
di Lara Esposito da VDossier
Ogni anno milioni di italiani compiono un gesto semplice, ma carico di significato: la firma per il 5 per mille, che consente di generare cambiamento reale. Dal 2006 a oggi, questo strumento di donazione è gradualmente cresciuto, così come è maturato il Terzo settore italiano. È un atto di fiducia che permette ai contribuenti (persone fisiche) di devolvere una percentuale pari al 5 per mille dell’imposta Irpef a enti che operano in settori di interesse pubblico e utilità sociale.
In vent’anni la crescita di questo sistema è stata esponenziale. Nel 2006 gli enti ammessi al beneficio erano poco meno di 30mila, oggi sono oltre 91mila. Anche le persone che scelgono di destinare questa quota della propria IRPEF sono passate da 13milioni a più di 18milioni. Le risorse effettivamente distribuite sono cresciute di quasi 200milioni di euro, superando i 520milioni nel 2024 (nel 2006 erano poco più di 330milioni di euro).
Dietro questi numeri c’è una rete di organizzazioni che si è ampliata, professionalizzata, e che ha imparato a comunicare meglio il proprio impatto. Un segnale positivo arriva dal calo delle esclusioni: nel 2006 il 21% degli enti veniva escluso, oggi solo il 6%. Non a caso, però, dal 2022 è attivo il Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS) che facilita notevolmente il processo di iscrizione.
Allo stesso tempo c’è un 21% di realtà (precisamente 19.288) che non raggiunge neanche la soglia minima di 100 euro (sotto quell’importo le risorse non vengono erogate) o, addirittura non riceve neanche una scelta dai contribuenti: questo significa che in alcuni casi manca la rete di supporto dell’ente stesso o una strategia di comunicazione efficace.
Il Terzo settore al primo posto, da sempre
Nonostante sia possibile devolvere il proprio 5 per mille a comuni e altri enti di privato sociale, in cima alle preferenze degli italiani ci sono da anni gli enti del Terzo settore (precedentemente “enti del volontariato”).
Oggi gli enti del Terzo settore (Ets) iscritti sono oltre 68.000, e raccolgono circa il 75% delle scelte totali. Nel 2024, più di 10,6 milioni di persone hanno indicato un Ets come destinatario del proprio 5 per mille. Un dato interessante è quello sulle scelte consapevoli: il 92% di chi sceglie un Ets lo fa inserendo il codice fiscale, segno di una crescente attenzione e fiducia verso realtà specifiche.
Le risorse destinate al volontariato sono passate da 193 milioni nel 2006 a oltre 330 milioni nel 2024. In termini percentuali, gli Ets rappresentano:
- il 75% degli enti ammessi
- il 62% delle scelte
- il 63% delle risorse distribuite.
La polarizzazione delle risorse del 5 per mille: il caso del 2024
La scelta di quale sarà la realtà a cui destinare il proprio contributo del 5 per mille può essere condizionata da diversi fattori, dalla conoscenza diretta alla capacità degli enti di fare un’adeguata promozione delle proprie attività. È in ogni caso un atto di fiducia che, dati alla mano, risente però di una significativa polarizzazione.
Basti pensare che negli ultimi 5 anni i primi 40 posti sono stati occupati da soli 51 enti (di cui 33 sempre presenti), e che hanno ricevuto nel 2024 oltre 217milioni di euro, pari al 41% del totale. In soldoni, gran parte delle risorse si concentra su realtà grandi e strutturate.
E il resto? Se si prova a mutuare la classificazione degli enti prevista dall’Istat e la si applica al 2024 si ha il seguente ranking:
- 0,05% (48): supera il milione di euro ciascuno, il 43,33% delle risorse totali (oltre 226 milioni di euro);
- 0,3% (31): riscuote tra 500mila e 1 milione di euro (quasi 20 milioni complessivi, il 3,82% delle risorse complessive);
- 0,08% (77): ritira tra 250mila e 500mila euro (oltre 26,8 milioni, il 5,14% delle risorse complessive);
- 0,20% (181): percepisce tra 100mila e 250mila euro (oltre 27 milioni, il 5,24% delle risorse complessive);
- 0,26% (240): trae tra 60mila e 100mila euro (più di 18 milioni, il 3,49%);
- 0,76% (691): incassa tra 30mila e 60mila euro (28,2 milioni, il 5,41%);
- 4,03% (3.667): è nella fascia 10mila–30mila euro, in totale ricevono oltre 58 milioni (11,12% del totale);
- 6,38% (5.809): si colloca tra 5mila–10mila euro, in totale trattengono oltre 40 milioni (7,73%);
- 67% (60.981): riceve tra 100 e 5mila euro, per un totale di 76 milioni (14,72%).
Un bagno di numeri per raccontare quanto il 5 per mille finisca per “spalmarsi” in modo disomogeneo tra le realtà del Terzo settore italiano, considerando che ai due estremi troviamo lo 0,05% degli enti – tendenzialmente sempre gli stessi – a cui arriva il 43,3% delle risorse, mentre il 67% degli enti “più piccoli” riceve solo il 14,72% delle risorse totali. Esiste quindi una forte concentrazione delle risorse in poche fasce di importo e la maggior parte degli enti del Terzo settore riceve contributi molto bassi. Questo dato solleva interrogativi: quanto è accessibile il sistema per gli enti più piccoli? E come si può favorire una distribuzione più equa?
L’irrisolta questione del tetto
Aumentano quindi le firme, si rafforza la consapevolezza della scelta, ma le risorse disponibili non riescono a soddisfare la domanda. Il tanto dibattuto tema del tetto ai fondi del 5 per mille, infatti, rimane una questione ancora irrisolta. Va infatti tenuto presente che, in sede di Legge di Bilancio, vengono appostate le risorse che saranno destinate ad essere erogate agli enti a secondo delle scelte dei contribuenti. Spesso, però, le scelte superano l’importo previsto: ne consegue che l’importo effettivamente erogato agli enti viene ridotto. Secondo una stima di Vita.it dal 2017 al 2023 lo scostamento tra le scelte degli italiani e le risorse realmente erogate è di oltre 81milioni di euro in meno, con un incredibile picco proprio nel 2023 che ha visto uno scostamento e relativa riduzione di quasi 28milioni di euro: nel 2023 il 5 per mille in realtà è stato un 4,5 per mille.
Per non tradire le scelte dei contribuenti sarebbe necessario che lo Stato si impegnasse a corregge di anno in anno quanto stanziato per il 5 per mille (il cosiddetto “tetto di spesa”) accorciando – se non annullando – questa forbice sempre più larga tra quanto destinato dai cittadini e quanto effettivamente erogato.
Si ringrazia per la collaborazione Massimo Novarino – Coordinatore dell’Ufficio giuridico-legislativo del Terzo settore

