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Dove è finita la pace? La società civile tra guerre vicine e silenzi lontani

CSV Milano2025-09-15T15:45:37+02:00
Pubblicato il
01/09/2025
Di CSV Milano
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La società civile italiana non ha smesso di cercare la pace. Dalle grandi mobilitazioni del passato a forme di attivismo più diffuse e territoriali, associazioni, reti e giovani mantengono viva un’istanza pacifista che intreccia diritti, ecologia, giustizia sociale e partecipazione culturale.

di Elisabetta Bianchetti, da VDossier

La prima a comparire è la bandiera arcobaleno. Poi i cartelli con scritto “Cessate il fuoco”, “Ogni guerra è una sconfitta”. È una domenica di maggio e a  Milano, sotto la pioggia leggera, qualche centinaio di persone marcia verso piazza della Scala. Non sono molte, eppure ci sono: ragazzi, donne, famiglie, attivisti storici e nuove voci. La pace, dicono, non è un’utopia, ma un’urgenza. Una necessità disattesa.
Negli anni Settanta, le marce per la pace riempivano le piazze italiane. Da Perugia ad Assisi, da Comiso a Ghedi, il popolo pacifista era trasversale, appassionato, visibile. Oggi, in un mondo che convive con oltre cinquanta conflitti armati attivi, quell’energia sembra affievolita. Eppure, sotto traccia, la società civile non ha smesso di interrogarsi, organizzarsi, proporre.

Cosa significa oggi essere pacifisti in un mondo che sembra smentire ogni giorno il valore della pace? Come stanno reagendo i comitati, le associazioni, i movimenti organizzati di fronte alle guerre che insanguinano l’Ucraina, il Medio Oriente, l’Africa? E soprattutto: perché l’istanza pacifista appare meno ascoltata, meno partecipata, meno unificante rispetto al passato?

Un’eco a queste domande è arrivata dal Comunicato Censis del 18 luglio 2025, che nel titolo – “Dove è finita la pace?” – ha fotografato la frattura tra l’urgenza percepita e la scarsa capacità del tema di catalizzare consenso diffuso. Il documento mette in luce un dato preoccupante: oltre la metà degli italiani considera la pace un valore “debole”, incapace di incidere nelle scelte geopolitiche e politiche concrete. Inoltre, cresce la sensazione che le manifestazioni pacifiste abbiano perso potere di influenza: solo un terzo dei cittadini ritiene che scendere in piazza possa oggi orientare le decisioni di governo. Tuttavia, il Censis segnala anche segnali di resistenza: tra i giovani under 30 il 60% indica la pace come priorità da legare a giustizia climatica, diritti sociali e disarmo, segno che nuove connessioni e linguaggi possono ridare linfa al movimento.

La crisi della retorica pacifista
Negli anni Duemila le piazze italiane erano gremite contro la guerra in Iraq: il 15 febbraio 2003 oltre 3 milioni di persone sfilarono a Roma in quella che resta una delle più grandi mobilitazioni pacifiste della storia. Ma quell’onda si è progressivamente assottigliata. Oggi l’attivismo non scompare, cambia forma.

Non è solo questione di numeri o di piazze vuote. Negli ultimi vent’anni la parola “pace” ha perso appeal nei media, nel discorso politico, perfino in ambito culturale. È stata vista come astratta, ideologica, a volte strumentalizzata. Ma questa crisi di rappresentazione non corrisponde a un’assenza reale di mobilitazione. Al contrario: reti come la Rete Italiana Pace e Disarmo, Movimento Nonviolento, PeaceLink, Tavola della pace, Associazione per la Pace, Pax Christi, Movimento Internazionale di Riconciliazione (MIR), Movimento Nonviolento, RUniPace – Rete Universitaria per la Pace, Presenze di Pace, Rete delle Scuole di pace, continuano a lavorare con coerenza. Negli ultimi mesi, le manifestazioni per il cessate il fuoco a Gaza e in Ucraina, le azioni contro l’aumento della spesa militare, i presìdi nelle Università hanno mostrato che c’è ancora una tensione attiva verso la pace.

Dalla piazza al territorio: la trasformazione dell’attivismo
L’attivismo pacifista si è spostato dalle grandi piazze nazionali a una geografia diffusa di pratiche locali. A Brescia, il Festival della Pace — organizzato dal Comune e patrocinato dal Parlamento Europeo e da Amnesty International — ogni autunno propone incontri, mostre, dibattiti e spettacoli per intrecciare pace, diritti umani e sicurezza internazionale. A Torino, il Centro Studi Sereno Regis è diventato un punto di riferimento per la ricerca e la formazione sulla nonviolenza, legando educazione alla pace e transizione ecologica. A Firenze, il Laboratorio Permanente per la Pace promuove dialogo interculturale e attività formative rivolte a scuole e comunità.
Accanto a questi percorsi istituzionali, resistono esperienze simboliche e comunitarie. A Ghedi, di fronte alla base militare che ospita testate nucleari, i comitati locali organizzano veglie e marce notturne, in un coinvolgimento intergenerazionale che unisce attivisti storici e giovani credenti. Sempre più spesso, la pace viene raccontata con linguaggi artistici e culturali: a Napoli, il Teatro dell’Oppresso lavora con gruppi giovanili su conflitti quotidiani e pratiche di riconciliazione; a Palermo, il Centro Pio La Torre lega memoria antimafia e costruzione della pace, ricordando che la violenza ha molte facce ma richiede la stessa resistenza civile.
È un attivismo meno centralizzato e più radicato nei territori, capace di intrecciarsi con educazione, ecologia, legalità e diritti sociali.

Un attivismo che cambia pelle
Oggi i social media sono diventati la piazza principale. Hashtag come #EuropeForPeace o #StopTheWarNow hanno mobilitato migliaia di utenti: raramente si sono tradotti in manifestazioni di massa, ma hanno aperto spazi rapidi di sensibilizzazione, alimentando campagne online, petizioni, raccolte fondi e azioni di solidarietà diretta con le popolazioni civili.
Anche il mondo cattolico, da sempre colonna del pacifismo italiano, si rinnova. Pax Christi, la Comunità Papa Giovanni XXIII e la Tavola della Pace restano attive, ma la partecipazione giovanile oggi passa più dalle esperienze di volontariato internazionale che dai cortei tradizionali. 

Numeri e percezioni
Spese militari: secondo l’Osservatorio Milex, nel 2023 l’Italia ha destinato circa 28 miliardi di euro alla difesa (1,5% del PIL), con un incremento del 10% rispetto al 2019.

Opinione pubblica: un sondaggio Ipsos del 2022 mostrava che il 58% degli italiani si dichiarava contrario all’aumento delle spese militari, mentre il 64% chiedeva un maggiore impegno diplomatico dell’Unione Europea.

Mobilitazioni recenti: la marcia Perugia-Assisi del 2022 ha registrato circa 10mila partecipanti, numeri ridotti rispetto al passato ma significativi in un contesto di crescente disaffezione collettiva.

Percezioni Censis 2025: per il 52% degli italiani la pace oggi è un valore “evocativo ma debole”; solo il 34% ritiene efficaci le manifestazioni pubbliche, mentre il 60% dei giovani under 30 lega pace, diritti e clima come un’unica sfida per il futuro.

L’attivismo per la pace in Italia non è scomparso, ma ha cambiato pelle: dalla piazza alla scuola, dal corteo al territorio, dalla bandiera arcobaleno appesa al balcone alla petizione online. Forse meno visibile, ma non meno vitale. La sfida dei prossimi anni sarà trovare nuove forme di massa e un nuovo linguaggio capace di parlare a una società frammentata, ma ancora assetata di pace.

Sul portale VDossier l’approfondimento sul pacifismo di oggi, uguale e diverso da quello del passato.

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