Volontari nei programmi di accoglienza e inclusione dei rifugiati: tra innovazione e istituzionalizzazione
Durante la VII Conferenza Escapes, Paola Bonizzoni, Giacomo Lampredi e Eugenia Blasetti hanno coordinato il panel intitolato “Volunteers in refugees’ reception and inclusion programs: between innovation and institutionalization”.
Gli interventi selezionati hanno esplorato il ruolo dei volontari nei programmi di accoglienza e inclusione dei rifugiati, mettendo in luce come l’impegno civico rappresenti un motore di innovazione ma anche di tensione nei processi di istituzionalizzazione. Sono emersi diversi modelli di coinvolgimento, dal supporto familiare e relazionale alla mediazione tra comunità e istituzioni, fino al volontariato come pratica di cittadinanza e solidarietà. Le esperienze analizzate evidenziano sia il potenziale trasformativo delle reti civiche nel favorire l’inclusione, sia i rischi di precarietà, disuguaglianza e scarico di responsabilità sulle persone e le organizzazioni della società civile.
Inka Stock (Bielefield University) ha esplorato il ruolo delle iniziative civiche a favore dei rifugiati nei processi di “costruzione della nazione” in Canada e Germania. Analizzando programmi come lo Refugee Private Sponsorship canadese e i Buddy Schemes tedeschi, ha mostrato come il volontariato possa ridefinire la cittadinanza attraverso pratiche di cura e solidarietà. Tuttavia, emergono anche disuguaglianze tra volontari e rifugiati e pratiche di inclusione/esclusione. Stock propone di studiare come queste esperienze influenzino nuove forme di appartenenza e identità nazionale.
Magda Bolzoni (Politecnico di Torino) e Davide Donatiello (Università di Torino) hanno presentato il caso studio del progetto “Rifugio Diffuso” a Torino, che ospita rifugiati e richiedenti asilo presso famiglie volontarie. Avviato nel 2008 e poi integrato nel sistema SAI, il programma unisce supporto istituzionale e relazioni di prossimità. Lo studio evidenzia la centralità della dimensione relazionale per costruire capitale sociale e percorsi di inclusione duratura, ma anche i limiti legati a risorse, variabilità e scalabilità. Propone una visione interdipendente di autonomia e solidarietà.
Luca Galli (Università di Milano Statale) ha confrontato i Corridoi Umanitari italiani con il programma canadese di Private Sponsorship of Refugees. Mentre il Canada offre un programma regolato dalla legge e che prevede controlli, formazione e monitoraggio da parte dello stato, In Italia, il sistema è privo di base legale e affidato a sponsor privati, portando con sé limiti di trasparenza, criteri incerti e scarsa supervisione pubblica.
Viktoriia Tomnyuk (Università di Torino), Camilla Borgna (Università di Torino e Collegio Carlo Alberto), e Giulia Gonzales (Università di Torino), hanno analizzato le dinamiche tra solidarietà e ostilità in tre comunità di frontiera italiane: Val di Susa, Ventimiglia, Roccella. Attraverso un’etnografia multi-sito, hanno mostrato come coesistano iniziative di solidarietà dal basso e crescenti divisioni sociali. Emergono, infatti, conflitti interni tra gruppi “solidaristici”, competizione per risorse e differenze ideologiche, ma anche il forte ruolo della cooperazione. La fiducia resta locale, mentre prevale sfiducia verso le istituzioni nazionali.
Mateusz Błaszczyk, Natalia Kovalisko e Yuriy Pachkovskyy (Università di Breslavia) hanno analizzato il ruolo del lavoro emotivo nel sostenere la “resilienza condivisa” nei sistemi umanitari durante la crisi ucraina. Attraverso testimonianze da Lviv, hanno mostrato come operatori e volontari abbiano gestito paura, stanchezza e conflitti mantenendo il funzionamento del sistema d’accoglienza: se, da un lato, il lavoro emotivo è stato il motore di adattamento collettivo, dall’altro lato ha comportato costi individuali significativi, che devono essere riconosciuti per garantire resilienza sostenibile nelle organizzazioni umanitarie.
Younes Younes (Università di Amsterdam) ha discusso le difficoltà incontrate dalle organizzazioni refugee-led nei Paesi Bassi, mostrando come agiscano in spazi liminali tra comunità rifugiate, istituzioni olandesi e ONG, fungendo da mediatori e innovatori, ma anche affrontando precarietà e mancanza di riconoscimento.

