Dare nome ai gesti. La grammatica del cambiamento
Il Terzo settore muta linguaggio, oltre alle regole. Le parole diventano la chiave per capire chi siamo e come agiamo. Il prossimo anno le organizzazioni del Terzo settore, e non solo, dovranno imparare a distinguere tra contributi, donazioni e corrispettivi. Ma dietro i tecnicismi c’è una rivoluzione culturale: capire cosa significa davvero “attività di interesse generale”. Francesco Aurisicchio, responsabile dell’Area Organizzazioni di CSV Milano, racconta come i Centri di servizio stanno accompagnando le associazioni dentro questa nuova consapevolezza.
di Elisabetta Bianchetti, da VDossier
Nelle sale riunioni della città metropolitana di Milano, tra taccuini aperti e mani alzate, si discute di Iva, corrispettivi, interesse generale. Parole che, fino a poco tempo fa, sembravano lontane dal lessico quotidiano dei volontari. Oggi invece risuonano nei corsi e negli incontri organizzati da CSV Milano per preparare il mondo del Terzo settore alla nuova fiscalità in vigore dal 2026.
«C’è curiosità, più che consapevolezza -. racconta Francesco Aurisicchio, responsabile dell’Area Organizzazioni di CSV Milano – Molti sanno che qualcosa sta per cambiare, ma non riescono ancora a coglierne la portata. Si chiedono: “Potremo continuare a fare attività istituzionale?” senza rendersi conto che è proprio quel concetto a essere superato».
Un cambio di mentalità, non solo di regole
«Parlare oggi di attività istituzionale è culturalmente sbagliato -. spiega Aurisicchio – Quel modo di intendere l’azione associativa apparteneva a un’epoca normativa diversa. Dobbiamo abituarci al termine attività d’interesse generale, un aspetto che nel 2026 sarà ancora più centrale dato che anche la fiscalità degli enti ruoterà intorno a questo concetto: ciò che sei, ciò che fai, e come lo fai.
È un passaggio di prospettiva profondo che spinge le organizzazioni a interrogarsi sul significato stesso del loro operare: «Il Codice del Terzo settore – continua Aurisicchio – ti chiede di dare un nome e un senso a ogni gesto: se chiedi un contributo, una donazione o un corrispettivo, devi saper spiegare perché e con quali implicazioni. Un’associazione che offre visite con un “contributo minimo” deve capire se quello è davvero un atto libero o una forma di pagamento. È una riflessione culturale, prima ancora che fiscale». Dietro le parole, dunque, si cela un esercizio di consapevolezza: «Dobbiamo imparare a nominarci in modo onesto. A chiamare le cose per quello che sono».
Le domande delle associazioni, la risposta dei CSV
Negli incontri emergono gli stessi interrogativi: «Molte realtà ci chiedono: “possiamo continuare a fare i banchetti davanti alle chiese o ai mercatini?” La risposta è sì, ma occorre collocare correttamente queste attività dentro le nuove regole» chiarisce Aurisicchio.
CSV Milano ha scelto di affrontare il cambiamento recuperando un metodo già sperimentato nel 2018, quando nacque il progetto “Terzo Settore in costruzione”, per accompagnare gli enti nella riscrittura degli statuti e nella comprensione del RUNTS. «Abbiamo ripreso quello spirito –. racconta – Oggi come allora non si tratta solo di compilare moduli, ma di comprendere il senso di una riforma che cambia il modo stesso di essere associazione».
Un’alleanza con i professionisti
La sfida è complessa, e richiede un lavoro corale: «Abbiamo coinvolto commercialisti, consulenti e giuristi – spiega Aurisicchio – che da anni collaborano con noi e conoscono bene le realtà di base. Sono professionisti che condividono una visione: quella di un Terzo settore fatto soprattutto di piccole organizzazioni, con risorse limitate, ma un ruolo fondamentale per il tessuto comunitario». Durante gli incontri, i tecnicismi si mescolano a esempi concreti, domande vere, storie quotidiane: «Perché è lì, nel dialogo, che si costruisce la consapevolezza» aggiunge. «Solo interpretando come la norma si traduce nella vita quotidiana degli enti possiamo davvero accompagnarli».
Milano e i suoi territori: due velocità
Nella città metropolitana, la fotografia che emerge è variegata: «Nei comuni più piccoli si respira un senso comunitario più forte e una maggiore conoscenza reciproca. A Milano, invece, le organizzazioni faticano di più a far percepire il loro valore» osserva Aurisicchio. «È anche per questo che gli incontri sul territorio sono fondamentali: perché permettono di ricostruire legami, scambi, prossimità».
Un’occasione per crescere
Ogni cambiamento porta con sé paure e resistenze, ma anche opportunità. Aurisicchio invita a non fermarsi di fronte alla complessità: «Quando nel 1997 nacquero le Onlus, nessuno ne capiva davvero la funzione. Ci vollero anni per entrare a regime. Ora sta accadendo qualcosa di simile. Servirà tempo, formazione, confronto. Ma questa è una grande occasione per gli enti: comprendere davvero cosa significa realizzare un’attività di interesse generale e in che modo sostenerla».
Quando un “contributo” non è solo una parola
Quando le organizzazioni passano dalla fase delle idee a quella del progetto concreto che precede l’effettiva realizzazione, l’impatto con il tema risorse e sostenibilità è immediato. «È in questo punto del processo che gli enti sono chiamati a sviluppare consapevolezza. La nuova fiscalità ci chiede, anzi, ci impone, chiarezza rispetto a come ci poniamo nei confronti dei beneficiari delle attività che mettiamo in campo». Dall’altra parte, perché un’attività possa realizzarsi, deve rispondere a requisiti di sostenibilità. Su questo la visione, spiega Aurisicchio, deve farsi strategica: «Oggi più che mai occorre che le organizzazioni trovino uno spazio per riflettere su cosa vogliono proporre, pensando molto bene anche al “come”. E questo “come” è la modalità attraverso cui si offre un bene o un servizio al potenziale destinatario. È una attività gratuita? Se sì, lo deve essere “di nome e di fatto”. Se la realizzazione comporta dei costi, posso sostenerli con altre tipologie di entrate dell’organizzazione, come le donazioni? In altre parole, ritengo che gli enti non profit dovranno curare il processo nel suo complesso: dalla fase ideale, passando a quella progettuale e infine a quella realizzativa, deve essere chiaro come si struttura e come si sostiene a livello di risorse una offerta di attività». Non è una questione solo tecnica, ma identitaria: «Le organizzazioni devono interrogarsi su come intendono la propria missione. Se offri un servizio gratuito e chiedi donazioni libere, stai puntando sulla fiducia e sul valore pubblico di ciò che fai. Se invece chiedi un contributo per supportare la tua sostenibilità, devi riconoscerlo come tale. Il Codice del Terzo settore non ti dice di no: ti invita a fare chiarezza. A dare alle parole il peso che meritano».
Accompagnare il cambiamento
Non sarà un percorso breve: «Il lavoro – chiude Aurisicchio – continuerà ben oltre gennaio 2026. Sarà un processo di studio, confronto e formazione continua. Ma alla fine, quando tutti i tasselli saranno al loro posto, le associazioni avranno una maggiore lucidità sul proprio modo di agire. E questo sarà un grande risultato». Poi, una pausa. «Se dovessi riassumere il nostro ruolo in una frase,» conclude Aurisicchio, «direi così: accompagnare il cambiamento.»
Sul portale VDossier l’approfondimento sulle novità in materia fiscale per il 2026, fine delle Onlus, le normative regionali sul Terzo settore, il piano per l’economia sociale e come le competenze apprese nel volontariato sono ora riconosciute.
