Volontariato fuori formato. Viaggio dentro le nuove geografie dell’impegno: storie, ricerche e trasformazioni silenziose
Dall’episodicità alle comunità digitali, dal volontariato aziendale alle biografie mobili: un viaggio dentro le geografie emergenti della partecipazione civica. Storie, ricerche e segnali deboli che raccontano come il volontariato italiano stia cambiando pelle senza perdere la sua forza generativa.
Di Elisabetta Bianchetti e Thomas Pettinato
La sera prima dell’evento, nel cortile della scuola di Via Pepe, il quartiere Isola è già un alveare. C’è chi appende luci, chi monta un gazebo, chi sistema i tavolini per il laboratorio di riuso. Nessuno si conosce davvero; qualcuno si saluta con un cenno incerto, altri si studiano da lontano come compagni di viaggio improvvisati. «Io posso fermarmi solo due ore, poi devo andare a prendere i bambini» dice una ragazza con un foulard rosso. Accanto a lei, un ragazzo in bicicletta spinge una cassetta di attrezzi: «Tranquilla, anch’io resto finché posso».
Sono volontari episodici. Domani torneranno alla loro vita, probabilmente senza incontrarsi più. Ma questa sera, per qualche ora, costruiscono un pezzo di comunità.
È da qui che si può cominciare a raccontare il nuovo volontariato milanese: non dal tramonto delle appartenenze, ma dall’alba di forme di impegno che scivolano tra lavoro, passioni, biografie e frammenti di tempo. Un volontariato fuori formato.
Episodici: il volontariato “a scatto” che unisce chi non si incontrerebbe mai
Il volontariato non è più solo una strada, ma un mosaico di sentieri. Il primo — quello che negli ultimi anni si è allargato più rapidamente — è il volontariato episodico. Breve, intensivo, sorprendentemente inclusivo.
La ricerca PRIN realizzata da Università Cattolica, Verona e Federico II lo descrive con precisione: persone che non vogliono o non possono legarsi a un’associazione in modo continuativo, ma che desiderano “esserci”, almeno ogni tanto. Esserci per la loro comunità, sperimentando nuove esperienze, rafforzando il senso d’appartenenza. Ed è sufficiente una chiamata all’azione: un festival, una maratona, un evento culturale, una festa di quartiere. «Io non avrei mai pensato di fare volontariato», racconta Sara, 34 anni, grafica freelance, una delle protagoniste della serata in via Pepe. «Ma questi eventi… hanno il passo giusto per me. Non mi chiedono di cambiare vita, solo di dare una mano, di incontrare persone. È un modo per testare il terreno, senza sentirsi fuori posto».
Nella ricerca di CSV Milano “Associarsi ancora”, l’episodicità emerge come una straordinaria porta d’ingresso alla partecipazione, ma anche come una sfida gestionale per gli enti.
Dietro ogni volontario “da qualche ora”, infatti, c’è un lavoro di coordinamento, formazione, sicurezza, assicurazione, gestione delle relazioni. Un costo che non sempre si traduce in un percorso più stabile.
Ma il valore resta. Perché in quelle poche ore — a volte solo minuti intensi, un dialogo, una risata, un gesto condiviso — succede qualcosa che cambia lo sguardo.
Altrove, un altro episodio. Durante un evento in Cascina Merlata, un signore sulla sessantina aiuta una famiglia ucraina a orientarsi tra i laboratori per bambini. Non sa una parola di inglese, né di ucraino. Eppure, gesti e sorrisi bastano. «Sono qui per mio nipote, ma già che ci sono do una mano» dice ridendo. È venuto per caso, resta perché si sente utile. E chi lo dice che l’episodicità non costruisce legami?
Online: le comunità invisibili che reggono il mondo quando il mondo si spezza
Se c’è una forma di volontariato che sta crescendo sotto traccia, è quella online. È nata con lo svilupparsi di internet e di come lo usiamo, certamente crescendo molto durante la pandemia. Oggi vive di vita propria: solide micro-comunità digitali che si sostengono a distanza, spesso ignorate dal racconto pubblico.
Ci sono i gruppi di ascolto per persone anziane sole, i doposcuola digitali, le letture ad alta voce registrate per chi non può uscire, i forum di supporto psicologico per giovani in difficoltà. Le micro-task per piccoli ETS: traduzioni, grafiche, testi, campagne social.
Eppure, chi lo pratica lo dice sottovoce: si sente un volontario “di serie B”, forse perché viene vissuto come un secondo lavoro. È una forma d’impegno che spesso si basa su competenze professionali, sia nella comunicazione che in altri casi, e che essendo a distanza va a perdere parte dell’aggregazione che condisce il volontariato tradizionale. La ricerca PRIN lo conferma: il volontariato online soffre di uno stigma sottile, come se mancasse qualcosa perché il contatto non è fisico, appunto.
«Non posso muovermi molto da casa, ma online riesco a esserci. Ascolto, rispondo, accompagno. A volte penso che non sia abbastanza…» racconta Marta, 52 anni, volontaria in un servizio di ascolto digitale. E poi aggiunge una frase che sembra un manifesto: «Ma quando una ragazza mi scrive “grazie, mi hai salvato la giornata”, cosa potrei fare di più?»
Il digitale non è un ripiego, è un’estensione. Permette di contribuire da lontano, di mantenere un impegno nonostante un trasferimento, un lavoro nuovo, una malattia, un cambio di vita. È il volontariato delle soglie basse e degli impatti profondi, quello che non cerca applausi ma crea vicinanza dove la distanza sembra insuperabile.
Aziendale: quando il lavoro diventa parte della città
Una mattina di giugno, nei giardini nascosti dietro la Stazione Centrale, un gruppo di impiegati di un’azienda tech sradica erbacce, ridipinge panchine, aiuta gli operatori di un’associazione locale a mettere ordine in un piccolo magazzino. È una scena che negli ultimi anni si ripete sempre più spesso: il volontariato di impresa è passato da iniziativa marginale a vera leva identitaria per imprese e lavoratori. «Mi piace pensare che quello che facciamo qui non sia solo team building…» dice un giovane ingegnere, mentre passa la seconda mano di vernice su una panchina. «È un modo per vedere la città da vicino.»
Per molti volontari è il primo passo dentro il terzo settore. Per gli ETS, un’opportunità di farsi conoscere e di intercettare potenziali futuri volontari, o sostenitori. Ma anche qui, come ricorda la ricerca “Associarsi ancora”, c’è un costo: organizzare, coordinare, trovare attività significative in cui i gruppi aziendali possano davvero contribuire. Un “one shot” che a volte lascia più fatica che risultati.
Eppure, quando il cerchio si chiude, accade qualcosa di importante: i lavoratori tornano a casa con un pezzo di città in più nella testa. Gli ETS recuperano visibilità. Le comunità ne traggono beneficio. E così il volontariato entra là dove non si sarebbe mai immaginato: nelle agende dei manager, nelle policy aziendali, negli obiettivi ESG, nelle richieste stesse dei dipendenti, sempre più desiderosi di dare un senso al proprio tempo collettivo.
Tre fenomeni, un solo filo: la comunità non è scomparsa – si è trasformata
Tutti e tre i fenomeni – episodico, online, aziendale – sembrano diversi, ma nella realtà condividono un punto di origine: la fine delle appartenenze forti e l’inizio delle biografie mobili. Bauman l’aveva intuito: nella modernità liquida, anche l’impegno civico si fa fluido. Ma fluido non significa debole. Il volontariato di oggi somiglia più a una costellazione che a un esercito: punti luminosi, collegati da fili invisibili, che compongono mappe sempre nuove.
Le ricerche lo mostrano, le storie lo confermano: le persone vogliono contribuire, vogliono sentirsi parte, vogliono contare qualcosa. Solo che lo fanno in modo diverso rispetto alle generazioni precedenti.
Il volontariato episodico apre porte. Quello online accorcia distanze. Quello aziendale crea ponti tra mondi che non si parlavano. E dentro tutto questo, gli ETS devono ripensare organizzazione, comunicazione, governance, relazioni, aspettative.
Ma non è un declino, è una transizione.
Non è una perdita, è un mutamento.
Non è un “meno”, è un “diversamente”.
Verso un volontariato che sa trasformarsi
Alla fine della festa di quartiere di Via Pepe, nel buio dell’Isola, gli ultimi volontari chiudono i gazebo. Sara – quella del foulard – guarda le luci che si spengono e dice piano: «Ho fatto pochissimo, ma mi sento… parte. Non so spiegare. Tornerò.»
Forse tutto sta lì, in quel “tornerò” che non significa “mi iscrivo”, ma nemmeno “scompaio”. Significa che la comunità, oggi, si costruisce così: con ritorni intermittenti, micro-legami, esplorazioni rapide, ma dense di senso.
Un volontariato che sa cambiare passo, che ascolta le biografie, non solo le esigenze organizzative. Che si lascia contaminare, che non ha paura di sembrare un po’ irregolare, un po’ fuori formato. Perché il mondo è cambiato. E il volontariato – quello vero – non resta mai fermo.
Fonti
ISTAT, Indagine “Uso del tempo” 2023; “Aspetti della vita quotidiana” 2022
Aiccon Research Center – CSVnet – Forum Terzo Settore, “Dall’idealismo al pragmatismo. Una fotografia delle trasformazioni del volontariato” (2025)
Università: Cattolica del Sacro Cuore di Milano (centro di ricerca CERISVICO), Federico II di Napoli e degli Studi di Verona; CSV: Brescia, Milano, Salerno e Verona, anticipazioni dalla ricerca PRIN “Profilazione del volontariato tradizionale, episodico, e online: dall’impegno civico alla rete collaborativa locale”
CSV Milano, anticipazioni della ricerca “Associarsi ancora”

