Educare insieme: la forza delle reti tra scuola, territorio e giovani
Le comunità educanti nascono quando scuola, famiglie, istituzioni e realtà sociali collaborano in rete. Le scuole aperte diventano presidi civici e spazi di cittadinanza attiva, ma servono tempo, fiducia e relazioni autentiche. I giovani partecipano come protagonisti del processo educativo: costruire legami tra attori diversi è un gesto culturale e politico che rigenera il senso dell’educare.
di Caterina Giacometti
Le comunità educanti non nascono per decreto: crescono nei territori quando scuola, famiglie, istituzioni e realtà sociali ed economiche iniziano a riconoscersi parte di un medesimo ecosistema. In questo senso, l’educazione diventa un processo corale, che coinvolge chi vive il quartiere, chi fa cultura, chi accompagna i giovani nei percorsi di crescita e chi progetta politiche pubbliche. È un intreccio di relazioni che si alimenta solo se la rete funziona davvero come rete: orizzontale, cooperativa, capace di generare valore reciproco.
Come ricorda Pier Paolo Inserra in un articolo sul numero 04/2025 di “Animazione Sociale”, «la forza della comunità educante risiede nell’evocare un ideale condiviso di corresponsabilità, ma la sua debolezza sta nel pensare che basti nominarla per farla esistere». Costruire una comunità educante, infatti, non significa aderire a un concetto astratto, ma impegnarsi in un processo concreto e quotidiano, che richiede di “promuovere un’elaborazione condivisa del significato stesso di comunità educante”.
Le scuole aperte, in questo scenario, rappresentano spazi concreti dove la comunità educante prende forma. Parlare oggi di “scuole aperte” significa superare l’idea dell’istituto come spazio chiuso e autoreferenziale, per restituirgli il ruolo di presidio civico, luogo di apprendimento condiviso e laboratorio di cittadinanza attiva. Ma la partecipazione non si improvvisa»: richiede tempo, cura, fiducia reciproca e la capacità di “tessere relazioni” tra attori diversi. Solo così la collaborazione diventa pratica viva e non semplice ritualità.
Elemento fondamentale da non trascurare è che i giovani non sono soltanto destinatari dell’educazione, bensì protagonisti attivi della comunità educante. Partecipano con le loro idee, linguaggi e visioni del futuro, portando energia e prospettive nuove nei processi di co-progettazione. Valorizzarne la voce significa riconoscere che l’educazione è un processo di scambio, in cui anche gli adulti possono imparare.
Costruire comunità educanti significa dunque lavorare sul “tra” – tra scuola e territorio, tra pubblico e privato sociale, tra generazioni – per restituire senso collettivo all’educare. L’apertura degli spazi, la co-progettazione, l’ascolto dei bisogni reali non sono strategie operative, ma scelte culturali e politiche che trasformano le scuole in punti di connessione e le reti in vere infrastrutture sociali.
Come ricorda Pier Paolo Inserra, «una comunità è educativa se è consapevole dei propri rischi». Se sa evitare l’autoreferenzialità, il ritualismo e il controllo sociale, e sceglie invece l’ascolto, la corresponsabilità e la costruzione condivisa. Solo così le comunità educanti e le scuole aperte possono diventare motori di coesione, creatività e futuro nei territori.

